09 luglio 2018

cosi iniziano le guerre

La Russia mantiene il suo più potente raggruppamento di truppe schierato verso ovest. Basandosi sulle cifre ufficiali, l’equivalente di dieci divisioni comandate da tre quartier generali dellesercito  senza contare il raggruppamento di Crimea, divisioni aereotrasportateforze per operazioni speciali, due flotte (la Flotta del Baltico e la Flotta del Mar Nero), la Flottiglia del Mar Caspio, il ripristinato Squadrone del Mediterraneo, ed il contingente in Siria – è concentrato nello spazio tra il Caucaso ed il Mar Baltico. Penso di non sbagliare affermando che più della metà della capacità offensiva della Russia è concentrata strategicamente in direzione ovest. Contemporaneamente bisogna considerare che negli anni recenti l’esercito russo ha raggiunto il più alto livello di mobilità, ovvero i raggruppamenti possono essere rinforzati rapidamente trasferendo forze e mezzi da altre regioni.


E’ chiaro che questo succede non perché Sergey Shoigu gioca ai soldatini e non perché Dmitry Medvedev ha soldi nel suo budget da spendere, e, soprattutto, non perché Vladimir Putin si mostra all’esterno con intenti pacifici mentre segretamente pianifica brutte cose. Il dispiegamento di un così grande contingente di truppe, che generalmente si predispone in tempo di guerra, così come il rifornirlo con gli ultimi armamenti e la costruzione di moderni campi militari e strutture d’addestramento partendo da zero, è un lusso estremo e dispendioso per un paese come la Russia, sotto sanzioni la cui economia mostra solo timidi segni di crescita ma che può facilmente ricadere nella stagnazione. In effetti, se vengono effettuate scelte così costose, significa che su questa frontiera la Russia sente un vero pericolo militare.
Ma qual è questo pericolo?
I nostri “cari partners” non esagerano troppo quando affermano che nessun singolo esercito europeo della Nato e nemmeno tutti loro assieme possono resistere alle Forze Armate Russe. E non sarebbe neanche un problema prevenire il trasferimento di truppe dagli Stati Uniti chiudendo, per un certo periodo, l’accesso dei convogli ai porti atlantici europei con l’uso della marina e dell’aviazione. Gli Stati Uniti non sono in grado di dispiegare in Europa un contingente militare superiore all’attuale, e questo non perché sia estremamente costoso – alcuni paesi sono pronti a pagare per un dispiegamento maggiore di truppe americane sul loro territorio  ma per le difficoltà legate all’approvvigionamento di un così grande dispiegamento di truppe (e senza l’approvvigionamento un esercito non è operativo).
In effetti, il potenziale offensivo attuale concentrato in Russia verso ovest è sufficiente per conquistare non solo Kiev e Lvov, ma anche Varsavia, e addirittura per raggiungere lAtlantico, anche se non sarà questione di una settimana ma di 2 o 3 mesi, e non senza problemi e perdite.
E allora perché è in corso questo ulteriore dispiegamento e rafforzamento? Tutto sommato, entro il 2025-2030, anche senza crescere troppo di numero, il dispiegamento russo verso ovest riuscirà almeno duplicare (e forse ancora di più) la sua potenza militare solo grazie al completo rinnovo dell’armamento e all’adozione di nuovi sistemi di controllo e di nuovi principi di conduzione strategica. E non stiamo tenendo conto dell’arsenale nucleare, ovvero di quello che renderebbe qualsiasi attacco alla Russia un attacco suicida!


Questo significa che un ulteriore conflitto potrà divampare in Ucraina se oltre al conflitto interno a Kiev per il potere (già sovrapposto a quello tra Kiev e il Donbass) si sovrapporrà un conflitto religioso che arderà sopra gli altri.
In questa situazione ne la Russia ne i paesi dell’Unione Europea vicini all’Ucraina possono rimanere a guardare. Tuttavia, l’Unione Europea è in un momento difficile: le contraddizioni tra i paesi del sud più poveri e i paesi del nord più ricchi si amplificano costantemente e si sovrappongono alle contraddizioni tra i paesi dell’est filo statunitensi e i paesi occidentali più autonomisti e filo europei. In ogni singolo stato dell’Unione Europea il conflitto tra nazionalisti, che chiedono un urgente ripristino delle normali relazioni con la Russia, e globalisti, che invece vogliono continuare l’odierna politica di scontro e di sanzioni, cova sotto la cenere e gradualmente si infiamma. L’intervento di alcuni membri dell’Unione Europea nella crisi Ucraina, può condurre ad una esasperazione di tutte queste contraddizioni ed alzare la questione non sull’unità dell’Occidente, tema seppellito da Trump durante l’ultimo summit dei G7, ma sulla stessa compattezza della UE e sulla stabilità dei diversi stati nazionali all’interno della UE.
Essendo diventata, volente o nolente, l’iniziatrice e l’acceleratrice della disintegrazione dell’Ucraina, l’Europa rischia di ripetere il suo destino nel prossimo ciclo storico, contagiata da un’infezione incurabile partita dal cadavere dello stato ucraino. Sia la Russia che la UE hanno interessi in Europa troppo seri per lasciare andare alla deriva le cose, per cui anche l’intervento e la collisione degli interessi sarà inevitabile.
Allo stesso tempo bisogna tener presente che non solo in Ucraina ma anche nella maggioranza dei paesi europei, le attuali elites politiche, in una simile situazione di crisi, non potrebbero andare al potere senza esporre le loro vite e la loro libertà ai peggiori rischi. E non stiamo nemmeno considerando il fatto che la migrazione di culture straniere (afro-asiatiche) contribuirà significativamente alla destabilizzazione di alcuni stati così come del sistema europeo in generale.
Siamo nella situazione in cui l’ordine mondiale come lo conosciamo può cadere come un castello di carte lungo tutto lo spazio tra l’Atlantico, il Narva e il Don. Ogni tentativo di stabilizzare la situazione ad uno stadio precedente alla definitiva trasformazione dell’Europa al livello di Somalia, Afghanistan o Ucraina, necessiterà che la Russia tenda una mano verso la Germania in quanto centro politico ed economico dell’Europa, e senza il coinvolgimento della potenza tedesca il contenimento delle crisi europee si trasformerà inequivocabilmente in una fatica di Sisifo.
La Germania è un paese debole militarmente, e la sua importanza nel controllo dell’Europa è compresa non solo dalla Russia, ma anche dagli Stati Uniti che, dovesse la crisi europea divampare, diventeranno un oggettivo antagonista di Mosca nello scontro per il diritto di definire il futuro del continente. Questo significa che è indispensabile per la Russia sfondare e mantenere un corridoio verso la Germania lavorando sui fianchi. In quel momento occorreranno abbastanza riserve per sostenere, al bisogno, sforzi intermedi atti a preservare l’asse franco-tedesco. Bisognerà agire, contemporaneamente e rapidamente, per anticipare l’avversario geopolitico lungo tre diverse direzioni (la principale: l’Occidente, e le manovre di accompagnamento sui fianchi a sud-ovest e nord-ovest). Il numero e la qualità degli schieramenti deve assicurare, prima di tutto, la soppressione di qualsiasi formazione illegale o semi-legale. Secondariamente, deve stroncare sul nascere qualsiasi idea di resistenza ufficiale all’interno delle strutture dello stato. E, infine, non deve far si che gli Stati Uniti coinvolgano nel conflitto le loro truppe già presenti in Europa facendola risultare una scelta insensata.
In un caso come questo non si potrebbe parlare di aggressione, ma di un’operazione volta a proteggere interessi primari della Russia e dell’Unione Europea, prevenendo così lo scivolamento dell’Europa in una lunga e sanguinosa crisi che distruggerebbe l’economia e la popolazione di un immenso territorio non più prosperoso. In più, la presenza e la consistenza crescente di questi raggruppamenti di truppe è un ottimo sistema per costringere ogni provocatore a pensarci tre volte prima di realizzare i suoi piani criminali.
E non di meno, non possiamo non tenere conto che buona parte delle elites europee si è infangata da sola commettendo crimini (ovvero sia crimini di guerra che crimini contro l’umanità). Essendo persone che facilmente tradiscono la loro parola, sono capaci di non credere in qualsiasi garanzia di sicurezza e provare a resistere fino alla fine. Per questo le armate non devono solo sembrare minacciose, devono essere anche realmente capaci di ottenere gli obbiettivi assegnati e nel più breve tempo possibile. L’efficacia e l’economia di qualsiasi operazione dipende direttamente dalla sua brevità. Più una guerra lampo è rapida, più diventa efficace e minori sono le perdite e i costi. La migliore guerra lampo è quella che non inizia nemmeno perché tutto viene deciso solo dal dispiegamento delle forze.
La dimostrazione di forza e la ferma disponibilità ad usarla agisce nel nostro caso come il migliore argomento diplomatico. Ma bisogna tener conto che se in Germania o negli Stati Uniti questo argomento è chiaro ed è stato propriamente valutato da tempo, in paesi come l’Ucraina ad esempio, a causa della progressiva marginalizzazione sia della società che della classe politica, non c’è più nemmeno qualcuno in grado di valutarlo. A causa della situazione geopolitica generale creatasi attorno a questo paese, a cui l’Occidente con le sue azioni ha artificiosamente attribuito una valenza chiave, è proprio a Kiev che si trova il pulsante di lancio di un conflitto pan-europeo. E, a tutti gli effetti, considerando il quadro delle possibilità politiche e diplomatiche esistenti, è improbabile che sarà possibile disattivare pacificamente questo pericolo.
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Articolo di Rostislav Ishchenko pubblicato su The Saker il 15 giugno 2018Traduzione a cura di Pier Luigi per SakerItalia