Una buona analisi di Federico Dezzani. Dedicato ai "Sovranisti" convinti che Trump stia dalla nostra parte e frottole del Genere
NdC
Nell’ultimo scorcio del 2018 si assiste ad una molteplicità di crisi apparentemente inestricabile ed indecifrabile: la probabile uscita “caotica” di Londra dall’Unione Europea, il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles, le proteste dei “gilet gialli” in Francia, il riaccendersi delle tensioni attorno alla Crimea, l’uscita degli USA dall’accordo sui missili nucleari a medio raggio, le pressioni americane sul Nord Stream 2, l’escalation politica-economica tra Cina e USA culminata con l’arresto della figlia del fondatore di Huawei. Nessuna di questa crisi si estinguerà in fretta, gettando le basi di un 2019 “esplosivo”. È quindi opportuno fare un po’ di ordine, riconducendo questi diversi eventi ad un unico discorso: la lotta delle potenze marittime contro l’Eurasia.
Dal golfo di Biscaglia al Mar cinese
Avremmo voluto dedicare le nostre energie alla preparazione del secondo volume di “Terra contro Mare”: l’incalzare degli eventi ci costringe però ad affrontare tramite articoli ciò avrebbe dovuto essere raccontato tramite libro. Amen, ci portiamo avanti col lavoro.
Chi osservi oggi il panorama internazionale non può che rimanere stupito ed intimorito dalla molteplicità di crisi che si accavallano senza sosta: il Regno Unito è quasi certamente destinato ad un rovinoso divorzio con la UE, la Quinta Repubblica sembra scricchiolare sotto l’onda d’urto dei “gilet gialli”, il barometro finanziario dell’Italia segna tempesta, la Crimea è nuovamente motivo di preoccupazione per il braccio di ferro tra Russia e Ucraina attorno allo stretto di Kerch, gli USA minacciano di schierare nuovamente in Europa i missili nucleari a medio raggio, riportando così le lancette dell’orologio indietro agli anni più bui della Guerra Fredda, la tensioni politiche-commerciali tra USA e Cina hanno raggiunto una nuova vetta con il clamoroso arresto della figlia del fondatore di Huawei, colosso cinese delle telecomunicazioni finito nel mirino economico-militare degli USA. Il sommarsi di queste crisi potrebbero facilmente stordire l’osservatore, spingendolo a parlare genericamente di “caos” o “anarchia” internazionale. In realtà, questi fenomeni apparentemente scollegati sono riconducibili alla lotta delle potenze marittime a quelle continentali: nella fattispecie alla secolare guerra degli angloamericani all’Eurasia.
È quindi giunto il momento di fare un po’ di ordine.
Partiamo con una prima carta, per mettere bene in evidenza la dialettica Terra-Mare. Nell’immagine sono ben visibili le tre grandi entità politiche continentali (Unione Europea, Russia e Cina), che occupano buona parte dell’Eurasia e, situate ai margini, le potenze marittime (USA e GB). Quella delle potenze marittime non è solo una marginalità geografica, ma sempre più una marginalità economica e politica. Un crescente numero di attori, dalla Turchia al Pakistan, passando per l’Iran e l’Iraq, guardano ormai alla Russia o alla Cina per sicurezza/investimenti; l’Unione Europea e la Cina rappresentano poi rispettivamente la prima e la terza (aspirante seconda, prima cioè degli USA) economia mondiale. Ora, sic rebus stantibus, l’integrazione tra queste tre grandi entità politiche non farebbe che aumentare col tempo, anche perché, a differenza del Novecento, non esiste più nessuna barriera ideologica a dividerle: Pechino costruirebbe la propria via della seta marittima/terrestre verso l’Europa e Mosca poserebbe volentieri i gasdotti, aprendo il proprio mercato agli investimenti europei. Nel volgere di un decennio scarso, l’influenza mondiale delle potenze marittime crollerebbe.
Occorre quindi agire. Cosa progettano gli strateghi angloamericani? La solida destabilizzazione continentale, già cara a Lord Palmerston, che incendi Europa ed Asia. Nessuna delle tre grandi entità politiche deve quindi essere risparmiata: Unione Europea, Russia e Cina. Ora, apriamo una piccola parentesi sull’Unione Europea: come abbiamo sempre sottolineato nelle nostra analisi, la UE è nata come il corrispettivo politico della NATO, tanto che entrambi le organizzazioni hanno la sede a Bruxelles. La UE, quindi, come “prodotto” angloamericano: nello specifico, come “testa di ponte” angloamericana in Eurasia (Zbigniew Brzezinski dixit). Qualsiasi organizzazione dotata di una propria struttura e di centri decisionali può però, ad un certo punto, emanciparsi, specie se esiste uno o più attori regionali (Germania e Francia), in grado di amministrare autonomamente l’unione. Per usare una similitudine, l’Unione Europea potrebbe ad un certo punto emanciparsi dagli angloamericani come i figli si emancipano dai genitori, andando per la propria strada. Possono USA e GB permettersi l’indipendenza dell’Unione Europea? Assolutamente no. Finché gli angloamericani conservavano l’indiscusso primato economico e militare (1945-2008), era loro interesse difendere ed estendere la CECA-CEE-UE: l’interesse scompare e si trasforma in volontà di distruzione quando questo primato viene meno.
La svolta “sovranista” di Londra (referendum per la Brexit) e Washington (elezioni di Donald Trump) coincide col mutato sentimento dell’establishement atlantico verso l’Unione Europea. Abbiamo già dedicato gli ultimi due nostri articoli a spiegare come l’Unione Europea ed il nocciolo dell’eurozona sarà destabilizzato. Sebbene molte banche d’affari diano ancora l’ipotesi come sfavorita1, è probabile che Londra abbandoni l’Unione Europea nel modo più rovinoso possibile, ossia con l’opzione “no deal”, bocciando l’11 dicembre l’accordo stipulato da Theresa May e lasciando che l’Inghilterra esca dalla UE senza alcuna intesa, entro il 31 marzo 2019. Il burrascoso divorzio di Londra, con importanti ricadute finanziarie ed economiche, sarà l’innesco della “bomba” collocata nel lato meridionale dell’Europa, ossia l’Italia. Il rallentamento economico a livello globale e la nascita di un governo populista (benedetto da Goldman Sachs) rendono infatti la terza economia d’Europa più fragile che mai: è sufficiente uno choc esterno perché il nostro debito pubblico vada incontro a seri problemi di solvibilità. Possono l’eurozona e la UE sopravvivere ad un default italiano/Italexit?
Spostiamoci così al nord delle Alpi. Con il lento eclissarsi di Angela Merkel, la guida dell’Unione Europea è stata formalmente assunta da Emmanuel Macron, che si è fatto portatore del (inconcludente) progetto di riforma dell’eurozona. L’ex-banchiere Rothschild non è certamente popolare, resta il fatto che le possibilità dell’Europa di resistere all’assalto atlantico sono appese alla sua persona. La sua proposta, ai primi di novembre, di creare un esercito europeo per “nous protéger à l’égard de la Chine, de la Russie et même des États-Unis d’Amérique”2, ha scatenato l’immediata ira di Donald Trump, che non si è certamente limitato a rispondere per le rime su Twitter. Se, infatti, il progetto di emancipazione militare europeo andasse in porto, per gli USA diverrebbe molto più difficile “incunearsi” militarmente tra Europa e Russia. Washington ha infatti in serbo per l’Europa un ritorno in grande stile alla Guerra Fredda, così da recidere qualsiasi legame politico-economico tra le capitali europee occidentali e Mosca: verso la fine di ottobre (prima quindi della clamorosa asserzione di Macron) gli USA hanno annunciato la loro uscita dal trattato INF del 1987 che, ritirando i missili nucleari tattici dal suolo europeo, aveva aperto al disgelo tra URSS e USA. Il 4 dicembre, il segretario di Stato Mike Pompeo ha lanciato un ultimatum di 60 giorni alla Russia perché smantelli i propri (presunti) euromissili, lasciando intendere che Washington sarebbe pronta a schierare nuovamente i propri. In questo modo, dalla Romania alla Polonia, si alzerebbe una nuova cortina di ferro, col dispiegamento di armi nucleari tattiche da un lato e dall’altro.
L’intenzione di Emmanuel Macron di emancipare la Francia e l’Europa dalla tutela americana è certamente all’origine della rivoluzione colorata nota come “gilet jaunes”: anziché “la corruzione”, si è scelta questa volta come pretesto per le manifestazioni, sempre più violente, il rialzo delle accise sui carburanti. Donald Trump ha rivendicato, piuttosto sfacciatamente, le proteste con un tweet che collega i “gilet jaunes” alla “military protection” degli USA (già il “maggio francese” fu un tentativo di rovesciare Charles De Gaulle e sabotare l’asse franco-sovietico).
Solida e monolitica è invece, come sempre, la Germania: talmente solida da osare l’inosabile. Portare cioè avanti il raddoppio del Nord Stream, nonostante la crescente ostilità di Washington: è probabile che, nel corso del 2019, gli USA tentino di affossare definitivamente il progetto, facendo forse leva sul peggioramento della situazione politica in Ucraina.
Ci spostiamo così ad est, dove negli ultimi giorni di novembre è riesplosa la tensione attorno allo stretto di Kerch. L’Ucraina (cui dovrebbero guardare con attenzione i sovranisti italiani che sognano di essere “liberati” dagli USA) è impiegata dagli angloamericani per inasprire a piacimento i rapporti tra Russia ed Occidente. Il sogno degli strateghi angloamericani è probabilmente un intervento militare russo, che consentirebbe di erigere una cortina di ferro invalicabile: missili nucleari tattici, sospensione del Nord Stream e, nuovo round di sanzioni. Hard Brexit, Italia e Ucraina sono le maggiori minacce che gravano sul 2019 europeo.
Spostiamoci più a est ancora, per approdare nell’Impero celeste da cui si dovrebbe diramare la nuova via della Seta del XXI secolo. La Cina rappresenta per gli USA ciò che la Germania guglielmina rappresentava per l’impero britannico: il nemico più temibile. Più popolosa, dotata di una forza lavoro disciplinata ed efficiente, munita di infrastrutture avveniristiche, all’avanguardia nei campi più promettenti e redditizi dell’industria e delle telecomunicazioni, la Cina è naturalmente destinata al sorpasso sugli USA, proprio come Berlino era naturalmente destinata al sorpasso su Londra a inizio Novecento. Il riequilibrio degli scambi commerciali non è certamente sufficiente per gli USA, interessati a tarpare le ali alla potenza cinese prima che sia troppo tardi: il clamoroso arresto. per la presunta violazione delle sanzioni all’Iran. di Meng Wanzhou, figlia del fondatore di Huawei (finita nel mirino degli USA per la superiorità nel campo delle telecomunicazioni di quinta generazione), è una deliberata provocazione, con cui gli USA sembrano rinunciare alla diplomazia in favore della forza. Può un Paese orgoglioso come la Cina accettare che il numero due di un proprio colosso dell’IT sia arrestato dai concorrenti nella sfida per accapparrarsi il vitale mercato delle telecomunicazioni? Si è detto che Meng Wanzhou sia stata arrestata col pretesto di aver aggirato l’embargo all’Iran, un altro Paese che le potenze atlantiche getterebbero volentieri nel caos nel corso del 2019, sia per alleggerire la posizione strategica di Israele che per arrestare la crescente convergenza di Teheran verso Russia e Cina (persino Pechino ha dovuto sospendere la sue importazioni di greggio dall’Iran su pressione americana3).
Nel 2019, le potenze marittime attaccheranno quindi l’Eurasia dal Golfo di Biscaglia al Mar Cinese. Il coordinamento tra Parigi, Berlino, Mosca e Pechino è, forse, l’ultima chance per scongiurare la guerra.